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Legittima l'esenzione IMU nei Comuni montani e parzialmente montani

La Corte Costituzionale ha confermato la legittimità delle norme relative all'esenzione IMU nei comuni montani e parzialmente montani per gli anni 2014 e 2015.
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Comuni montani, parzialmente montani ed esenzione IMU


Esenzione IMU comuni montani: sentenza 17 del 2018Con la recente sentenza n. 17 depositata il 2 febbraio 2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato la legittimità costituzionale di alcune norme sull'esezione IMU nei comuni montani e parzialmente montani.

La questione di costituzionalità di dette norme, in realtà abrogate e valevoli solo per alcune annualità (anni 2014 e 2015), è qui sollevata dalla Regione Sardegna e dal TAR Lazio; nel giudizio poi si sono anche costituiti una serie di comuni.

Vediamo allora, in sintesi, cosa prevedevano le norme impugnate, quali sono le prospettazioni di Regione Sardegna e TAR Lazio e le conclusioni cui giunge la Corte Costituzionale.


Quadro normativo


La Corte, prima di addentrarsi nell'analisi dei ricorsi, espone il quadro normativo di riferimento e l'evoluzione del contesto in cui si inserisce, che qui riportiamo sinteticamente.

Allora, l'art. 7, co. 1, lett. h, D. Lgs. n. 504/1992, in materia di Imposta comunale sugli immobili (ICI), aveva previsto l'esenzione per quei terreni agricoli situati in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'art. 15, L. n. 984/1977.

I terreni esenti dovevano essere collocati nel territorio dei Comuni elencati nell'allegato alla circolare del Ministero delle finanze - Dipartimento entrate fiscalità locale - Servizio I del 14 giugno 1993, n. 9.

L'esenzione è stata estesa all'Imposta municipale propria (IMU) – che ha sostituito l'ICI - dall'art. 9, co. 8, D. Lgs. n. 23/2011 e poi mantenuta dall'art. 13, D.L. 201/2011.

Terreni montani e quasi montani

Successivamente, l'art. 4, co. 5-bis, D.L. 16/2012 ha previsto che con decreto ministeriale si individuassero i Comuni nei quali si sarebbe dovuta applicare la detta esenzione, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei Comuni italiani, predisposto dall'ISTAT ed eventualmente anche sulla base della redditività dei terreni.

Nel 2014, l'art. 22 co. 2, D.L. 66/2014 ha sostituito l'art. 4, co. 5-bis, D.L. 16/2012, assegnando a un decreto ministeriale, dal periodo d'imposta 2014, di individuare i Comuni dove applicare l'esenzione IMU sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco ISTAT, diversificando inoltre tra i terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola e non.

È quindi stato emanato il D.M. 28 novembre 2014 sull'esenzione dall'IMU, prevista per i terreni agricoli, ai sensi dell'articolo 7, co. 1, lett. h, D. Lgs. n. 504/1992.

Seguiva poi l'art. 1, D.L. 4/2015, impugnato nel giudizio in commento, il quale modificava nuovamente il regime di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli montani e parzialmente montani, disponendo, dal 2015 e per il 2014, l'esenzione per i terreni agricoli e per quelli non coltivati, posti nei Comuni classificati totalmente montani nell'elenco dell'ISTAT (co. 1, lett. a), nelle isole minori (co. 1, lettera a-bis) e nei Comuni classificati parzialmente montani nello stesso elenco dell'ISTAT, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola (co. 1, lettera b).

Tale articolo riduce la platea degli esenti, aumentando il gettito tributario, che compensa con la previsione di variazioni (co.7 e 9) e che viene acquisito dallo Stato con gli importi indicati per ciascun comune dallo stesso D.L.

Il comma 7, in particolare, prevede che dal 2015 le variazioni avvengano a valere sulla ripartizione del Fondo di solidarietà comune (istituto dalla L. 228/2012) e da ripartire tra i comuni.

Così, spiega la sentenza:


la norma assicura che, anche a regime, della manovra benefici l'erario, il quale trattiene le somme non trasferite dal Fondo di solidarietà comunale agli enti locali, mentre questi ultimi, nelle intenzioni del legislatore, non subirebbero alcuna riduzione di risorse, godendo in misura equivalente del maggior gettito diretto dell'IMU, frutto della riduzione delle esenzioni (Corte Cost. 17/2018).


Il co.9-quinques prevede comunque un aggiornamento delle variazioni compensative sulla base della verifica del gettito per l'anno 2014.

Tale aggiornamento è successivamente avvenuto ad opera del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78.

La Corte chiude l'excursus normativo ricordando che nel 2016 le norme sono state abrogate con la legge di bilancio (l'art. 1, co. 13, lett. c), L. 208/2015 ha abrogato l'art. 1, co. da 1 a 9-bis, D.L. 4/2015); dunque, la norma impugnata ha trovato applicazione solo per gli anni 2014 e 2015.


Esenzione IMU: il ricorso della Regione Sardegna


Come vedremo in sintesi più avanti, le argomentazioni della Regione Sardegna vertono sostanzialmente intorno alla violazione delle sue competenze in materia.

Le censure sono suddivise per gruppi.

Secondo la Regione Sardegna l'art.1, co. 1, 1-bis e 3 sarebbero, in sintesi, lesive delle sue competenze in materia di agricoltura e foreste e dell'autonomia finanziaria regionale, delle norme che attribuiscono alla Regione la potestà di modulazione dell'imposizione fiscale; inoltre, l'art. 1, co.1 e 3 violerebbero le norme dello Statuto della Regione sul procedimento in caso di deroga, delle norme di cui agli articoli della Costituzione 3 (uguaglianza e ragionevolezza), 53 (capacità contributiva) e 97 (buon andamento della p.a); l'art.1, co.1 violerebbe, anche, in via subordinata, i principi di leale collaborazione e sussidiarietà.

Per la Corte, invece, l'IMU è un tributo erariale, dunque è regolato dalle norme statali (ex art. 117, co.2, lett. e) Cost.) anche per le norme di dettaglio e le norme agevolative.

Imposta Municipale Propria

Non
è quindi coinvolta la competenza regionale, nè è quindi in dubbio il rispetto delle norme sulla competenza, nè di quelle dello Statuto per il procedimento per i casi di deroga; nè, poiché il gettito IMU non è attribuito alla Regione, sussiste il presupposto della potestà della modulazione dell'imposizione nè le lesioni in materia di autonomia finanziaria.

Per la Corte non sussistono nemmeno le violazioni degli artt. 3, 53 e 97, Cost.: non sussiste irragionevolezza nè violazione del buon andamento in quanto l'individuazione geografica dei comuni montani non è data solo dall' elemento altimetrico, ma anche a quello di bassa redditività. Non sussiste irragionevolezza nemmeno con riferimento alla vetustà dei criteri ed all'abrogazione delle norme che li hanno previsti: l'altimetria è infatti tendenzialmente immutabile.

Successivamente la Corte aggiunge:

In secondo luogo, l'assunto della Regione circa l'inesattezza dei dati di riferimento - sul presupposto della mancata rappresentatività della reale redditività dei terreni da parte dell'elencazione - è, oltre che scarsamente argomentato, del tutto indimostrato. Inoltre, esso non tiene conto della prescrizione che la Commissione censuaria centrale, preposta alla tenuta dell'elenco dei Comuni montani, provvedesse al suo aggiornamento (ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 991 del 1952), emendandolo delle eventuali difformità palesatesi nel corso del quarantennio di vigenza prima dell'abrogazione. Infine, l'impiego in epoca successiva, nei casi di variazioni amministrative (fusioni, soppressioni etc.), del criterio della prevalenza territoriale non è assolutamente illogico, non rileva sotto il profilo della ragionevolezza quanto alla mancata previsione legislativa e, comunque - secondo le precisazioni fornite dallo stesso Istituto di statistica nel corso dell'audizione presso la Commissione finanze del Senato l'11 febbraio 2015 in sede di conversione del d.l. n. 4 del 2015 - incide sull'elencazione in maniera marginale, trattandosi di pochi casi rispetto al numero dei Comuni totalmente o parzialmente esenti. (Corte Cost. 17/2018)


Peraltro, aggiunge la Corte, la previsione della Crata costituzionale secondo cui

La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane (art. 44, co.2, Cost.)


- giustifica un trattamento normativo di favore verso altre aree svantaggiate.

Quanto ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà, la Corte ricorda di avere già in passato e costantemente escluso che le procedure di leale collaborazione fra Stato e Regioni trovino applicazione in caso di attività legislativa esclusiva dello Stato, come è il caso de quo; e che tale esclusione, formulata per il procedimento ordinario, vale a maggior ragione per i decreti legge i cui presupposti sono casi starordinari di necessità e urgenza.

Un secondo nucleo delle censure formulate dalla Regione autonoma Sardegna riguarda l'art. 1, commi 3, 4 e 5, del D.L. n. 4 del 2015, che disciplinano il pagamento dell'IMU agricola relativa all'anno d'imposta 2014 e attiene alla tempistica del termine di pagamento: ma anche in questo caso, l'assenza di competenza in capo alla Regione esclude la violazione delle relative norme.

Un terzo gruppo di censure della Regione autonoma riguarda l'art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del D.L. n. 4 del 2015, che disciplinano le variazioni compensative derivanti dall'attuazione del nuovo sistema di esenzione.

Secondo la ricorrente

il regime, che compensando il maggior gettito dell'IMU con le risorse altrimenti recuperate allo Stato dai Comuni, anche a valere sul Fondo di solidarietà comunale, sostituirebbe entrate certe con entrate incerte – sarebbe fondato su stime aleatorie e imprecise, senza peraltro consentire la correzione dell'ammontare complessivo delle variazioni, irrigidito negli importi normativamente indicati (Corte Cost. 17/2018).


Il che comporterebbe la violazione del principio di veridicità dei bilanci e di copertura delle spese (art. 81 Cost.) e, di conseguenza, dell'autonomia finanziaria dei Comuni (art. 119 Cost.), delle norme attributive della competenza regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, strettamente connessa a quella regionale, dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà in un ambito dove sono coinvolte competenze regionali in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale.

La Regione lamenta dunque il preteso pregiudizio arrecato al sistema di finanziamento degli enti locali.

Secondo la Regione le entrate rappresentate dal maggior gettito frutto del regime di esenzione non hanno un livello di certezza sufficiente a garantire la copertura delle spese previste e precedentemente coperte con un'entrata diversa, in particolare costituita dalla ripartizione del Fondo di solidarietà comunale.

Terreni montani

L'assunto non è implausibile, afferma la Corte, venendo abbandonato un sistema di esenzione collaudato in tempi recenti a favore di un altro, più risalente e utilizzato in altri ambiti, che potrebbe provocare rilevanti divari in territori caratterizzati da una strutturale carenza di risorse.

Il Legislatore si è però premunito di fare fronte ai potenziali squilibri, sia prevedendo la temporanea esperimentalità delle norme, sia predisponendo meccanismi correttivi.
Imu e terreni montani
La Corte ribadisce quanto già affermato in proprie precedenti decisioni e cioè che l'autonomia finanziaria costituzionalmente garantita alle autonomie territoriali non comporta una garanzia di tipo quantitativo e cioè che le entrate ad esse destinate non siano abbassate; purché tale abbassamento non renda impossibile o pregiudichi gravemente lo svolgimento delle funzioni delle dette autonomie locali.

Non deve inoltre mancare la garanzia del coinvolgimento degli enti territoriali nella definizione degli obiettivi di finanza pubblica e della loro quantificazione.

La Corte osserva che l'ambiente montano riceve particolare tutela, oltre che nella nostra Costituzione, (nella norma già citata di cui all'art. 44), anche a livello europeo, e che la novella fiscale può incidere su relazioni finanziarie di particolare importanza, ma ritiene infondate le questioni di incostituzionalità in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost., definendo

il regime delle agevolazioni in esame come transitorio, sperimentale e, quanto ai profili attuativi, suscettibile di correzione attraverso le modalità precedentemente illustrate (Corte Cost. 17/2018).


Infine, anche le questioni di legittimità costituzionale secondo cui:

per il legame tra finanza regionale e locale, il regime compensativo comprometterebbe anche l'autonomia finanziaria della Regione e la sua competenza in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale (Corte cost. 17/2018).


Non riscontrando una lesione dell'autonomia finanziaria locale, la Corte non ravvisa nemmeno una violazione di quella regionale.

A ciò si aggiunga che


nella fattispecie, osserva la Corte, si tratta di trasferimenti o contributi a carico del bilancio dello Stato, nell'ambito delle relazioni finanziarie che intercorrono tra lo stesso e i Comuni, e che, diversamente dalle autonomie speciali continentali, la Regione autonoma Sardegna non somministra “trasferimenti istituzionali” agli enti locali (sentenza n. 188 del 2016). Di qui l'infondatezza della questione anche con riguardo alle competenze regionali in materia di finanza locale (Corte Cost., 17/2018).


Anche le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3 dello statuto speciale e 117 e 119 Cost., non sono ritenute fondate.

Secondo la regione le norme, non prevedendo il coinvolgimento della Regione violerebbero il principio di leale collaborazione di cui all'art. 117 Cost. in un ambito coinvolgente l'esercizio di competenze regionali, con conseguente violazione dell'art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale e del principio di sussidiarietà ricondotto all'art. 119 Cost.

La censura muove dal presupposto che la fattispecie normativa integri un'ipotesi di chiamata in sussidiarietà, ma, osserva la Corte, la ricorrente non tiene conto del fatto che le relazioni finanziarie che vengono in rilievo nella fattispecie non riguardano trasferimenti istituzionali ai Comuni da parte della Regione autonoma Sardegna, ma contributi (co. 9-bis) e trasferimenti o assegnazioni finanziarie a carico del bilancio dello Stato (co. 9-quinquies) che quindi non sono di competenza regionale: non essendovi la competenza regionale in materia di ordinamento e di finanza degli enti locali, non vi sono i presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, appunto, la sussistenza di una competenza regionale.


Le ordinanze del TAR Lazio


Le ordinanze del TAR Lazio censurano l'art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l. n. 4 del 2015 perché, nel rinviare a un elenco predisposto dall'ISTAT per la classificazione dei terreni montani e parzialmente montani, lascerebbe all'ISTAT il potere di predisporre i presupposti per l'applicazione del regime fiscale di favore.

La norma che regolava la formazione del detto elenco (L. 991/1952) è stata abrogata dalla L. 142/1990 e, con ciò, sempre a parere del TAR Lazio, mancherebbero i paletti di legge necessari per vincolare la discrezionalità amministrativa nella tenuta del detto elenco, con conseguente violazione dell'art. 23 Cost., che riserva alla legge l'imposizione fiscale.

Secondo la Corte Costituzionale, invece non vi è alcun difetto di legittimità costituzionale: se è vero che la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. vale per le norme agevolative al pari di quelle relative all'imposizione fiscale (rinvia alla propria sentenza n. 123 del 2010); e che la legge

non deve limitarsi a fissare i tetti massimi dell'importo delle agevolazioni accordate, ma deve determinare in modo sufficiente anche le fattispecie di agevolazione, individuandone gli elementi fondamentali, quali i presupposti soggettivi e oggettivi per usufruire del beneficio» (sentenza n. 60 del 2011)"; tale principio non porta però alla declaratoria di illegittimità della norma impugnata, dal momento che il rinvio è ad una classificazione già esistente e non aggiornata dal 2009 "i cui dati (quanto a “montanità”) l'ISTAT ha raccolto e diffuso per finalità informative e ai quali il legislatore ha attinto (Cost. 17/2018).


Non vi è dunque una norma in bianco, che cioè assegna un potere alla p.a. senza delimitarne i limiti, e dunque privando i cittadini della tutela di legge della propria sfera di libertà davanti all'azione della p.a.

Con il detto rinvio, conclude sul punto la Corte, il Legislatore ha dunque semplicemente condiviso


le scelte ivi cristallizzate a fini differenti...attraverso il rinvio, dunque, l'individuazione dei presupposti soggettivi e oggettivi dell'esenzione è tutt'altro che rimessa all'amministrazione... La scelta, infatti, è stata operata integralmente dal decreto-legge (Corte Cost. 17/2018).

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Legittimità esenzione Imu per terreni agricoli montani
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