Il ruolo di amministratore di condominio è in tutto e per tutto equiparabile a quello di un mandatario, vale a dire alla persona cui ci si rivolge per
Il
ruolo di amministratore di condominio è in tutto e per tutto equiparabile a quello di un mandatario, vale a dire alla persona cui ci si rivolge per la cura e la gestione di determinati interessi e affari.Sul punto non ha dubbi
la giurisprudenza che nella sua espressione massima ha affermato che
l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato(così dal ultimo
Cass. SS.UU. 8 aprile 2008 n. 9148).
La cura e la tutela degli interessi del condominio va oltre il profilo stragiudiziale.Tanto si desume dal
contenuto dell'art. 1131 c.c. a mente del quale l'amministratore può agire giudizialmente per la tutela delle parti comuni nei limiti delle attribuzioni riconosciutegli dalla legge e/o dal regolamento di condominio.Più problematica la situazione per l'ipotesi in cui è il
condominio ad essere convenuto in giudizio.Si tratta della così detta
legittimazione passiva che trova riscontro nel
secondo comma dell'art. 1131 c.c. a mente del quale il mandatario dei condomini
può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.
L'interpretazione di questa norma ha scatenato un vero e proprio contrasto che vedeva due tesi contendersi il campo:a) da un lato che diceva che la legittimazione passiva
incontrava gli stessi limiti di quella attiva;b) dall'altro chi, invece, riteneva che l'amministratore potesse essere convenuto in giudizio senza doverne dare notizia all'assemblea, in quanto
la sua legittimazione a rappresentare il condominio non trovava limiti.
A queste visioni opposte della vicenda se n'è sostituita un'altra che potremmo definire mediana secondo cui
l'amministratore del condominio , potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all'assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell'art. 1131 cod. civ., commi 2 e 3, può costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell'assembleata deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione (
Cass. SS.UU. 6 agosto 2011 n. 18331).
L'autorevolezza della fonte, le Sezioni Unite della Cassazione, avrebbe dovuto garantire il rispetto del principio espresso.Eppure
già nel mese di novembre tornavano alla ribalta quegli orientamenti che negavano qualunque limite alla legittimazione passiva dell'amministratore per le azioni inerenti le parti comuni dell'edificio.
La sentenza n. 11159, resa sempre dal Supremo Collegio lo scorso 20 maggio, pare riportare in auge quanto detto dalla massima espressione del giudice nomofilattico.In questo caso
la particolarità della pronuncia sta nel fatto che la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto dall'amministratore, che aveva impugnato una sentenza sfavorevole relativa ad una deliberazione condominiale senza l'autorizzazione o la ratifica da parte dell'assise.
Fino ad oggi, invece, non v'erano dubbi che proprio in relazione alle controversie riguardanti le deliberazioni condominiali il mandatario avesse ampi poteri traendo gli stessi dal
n.1 dell'art. 1130 c.c. che gl'impongono di dare esecuzione alle decisioni assembleari.Una conferma (quella della sentenza delle
Sezioni Unite) e una contraddizione, dunque.