È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di Marzo il Decreto del Ministero della Salute numero 25 del 07.02.12 concernente il trattamento dell'acqua.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 69 del 22 Marzo 2012 il Decreto del Ministero della Salute n. 25 del 07.02.12 con titolo Disposizioni tecniche concernenti apparecchiature finalizzate al trattamento dell'acqua destinata al consumo umano che ha completamente sostituito il D.M. 443 del 1990.
Il nuovo decreto introduce una importante novità per quanto riguarda la responsabilità nella gestione di tutte le apparecchiature di trattamento dell'acqua potabile. Come sempre l'acqua trattata deve rimanere nei limiti della potabilità (Decreto Legislativo 31 del 02.02.01) ma, mentre in passato se non veniva effettuata una corretta e regolare manutenzione delle apparecchiature le conseguenze di ciò erano di responsabilità del produttore, ciò non è più possibile.
Infatti, se non viene effettuata da parte del proprietario delle apparecchiature, una regolare manutenzione secondo quanto previsto nei manuali appositamente predisposti dal produttore, la responsabilità della qualità dell'acqua trattata è solo del proprietario delle apparecchiature.
In generale il trattamento dell'acqua negli impianti di riscaldamento e nei circuiti sanitari è un obbligo di legge ai sensi del DPR 59/09 ai fini della riduzione della spesa energetica. Trattamento che può essere ottenuto con l'adozione di apparecchiature come gli addolcitori ed i sistemi di dosaggio che riducono il consumo di detergenti ed allungano la vita a tutti gli elettrodomestici di casa.
Deroghe al Decreto del Ministero della Salute n. 25 del 07.02.12
È di competenza statale la determinazione di principi fondamentali concernenti i trattamenti dell'acqua e la definizione dei parametri microbiologici chimici e degli indicatori, mentre, la regione o provincia autonoma può stabilire deroghe ai suddetti valori di riferimento entro i limiti massimi ammissibili stabiliti dal Ministero della sanità con decreto da adottare di concetto con il Ministero dell'Ambiente, purché nessuna deroga presenti potenziale pericolo per la salute umana e sempreché l'approvvigionamento di acque destinate al consumo umano conformi ai valori di riferimento non possa essere assicurato con nessun altro mezzo congruo.
Le suddette deroghe sono correlate a fattori come la causa del degrado della risorsa idrica, i risultati dei controlli effettuati negli ultimi tre anni, l'area geografica, la quantità di acqua fornita ogni giorno, la popolazione interessata e gli eventuali effetti sulle industrie alimentari interessate, un opportuno programma di controllo che preveda, se necessario, una maggiore frequenza dei controlli rispetto a quelli minimi previsti, il piano relativo alla necessaria azione correttiva, compreso un calendario dei lavori, una stima dei costi, la relativa copertura finanziaria e le disposizioni per il riesame. In ogni caso, le deroghe devono avere la durata più breve possibile.
Sei mesi prima della scadenza di tale periodo (inferiore a tre anni) la regione o la provincia autonoma trasmette al Ministero della sanità una circostanziata relazione sui risultati conseguiti nel periodo di deroga, in ordine alla qualità delle acque, comunicando e documentando altresì l'eventuale necessità di un ulteriore periodo di deroga.
Il Ministero della sanità, con decreto da adottare di concerto con il Ministero dell'ambiente, valutata la documentazione pervenuta, stabilisce un valore massimo ammissibile per l'ulteriore periodo di deroga che potrà essere concesso dalla Regione.
Tale periodo non dovrà, comunque, avere durata superiore ai tre anni. Sei mesi prima della scadenza dell'ulteriore periodo di deroga, la regione o provincia autonoma trasmette al Ministero della sanità un'aggiornata e circostanziata relazione sui risultati conseguiti.
Qualora, per circostanze eccezionali, non sia stato possibile dare completa attuazione ai provvedimenti necessari per ripristinare la qualità dell'acqua, la regione o la provincia autonoma documenta adeguatamente la necessità di un ulteriore periodo di deroga.
Il Ministero della sanità con decreto di concerto con il Ministero dell'ambiente, valutata la documentazione pervenuta, previa acquisizione del parere favorevole della Commissione europea, stabilisce un valore massimo ammissibile per l'ulteriore periodo di deroga che non deve essere superiore a tre anni.