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Vi è poco da discutere: chi causa un danno ad altri è tenuto a pagare.
Il principio, oltre che ovvio sotto l'aspetto della convivenza civile e pacifica, per chi volesse farsi venire qualche dubbio, si applica in quanto prescritto dalla norma generale di cui all'art. 2043 c.c., per il quale chi con dolo o colpa causa ad altri un danno ingiusto è tenuto a risarcire il danno prodotto.
Così è anche se il danno è all'abitazione di un terzo ed è causato dall'esecuzione di lavori su area pubblica.
Naturalmente, fermo restando sempre l'accertamento dei fatti.
Dunque, se ad esempio, in occasione dei lavori di manutenzione del marciapiede posto su area pubblica, si producono danni all'abitazione del privato, l'impresa appaltata può essere condannata, insieme al Comune, al risarcimento del danno.
Così ad esempio è stato deciso nel recente giudizio conclusosi con la sentenza n. 17581 della Corte di Cassazione del 3 settembre 2015.
Va altrettanto da sè che se i lavori sono oggetto di un contratto di assicurazione, paga, sempre dietro i dovuti accertamenti, anche l'assicurazione, chiamata in giudizio a manlevare i responsabili.
Tale il principio.
Per accertare se l'assicurazione è tenuta a pagare bisogna però essere certi che quei lavori e quei danni siano inclusi nel rischio assicurato nella polizza.
Quindi, nel caso all'esame della sentenza citata, i giudici dovevano stabilire se può essere che la semplice esclusione testuale in contratto dell'evento dai rischi assicurati liberi l'assicurazione dall'obbligo di manleva.
Secondo i giudici di primo e secondo grado (Giudice di Pace e Tribunale) sì, poteva essere.
E infatti, essi avevano deciso che la compagnia assicurativa dovesse essere esclusa dal pagamento del risarcimento del danno.
L'assicurazione, come si dice in termini tecnici, non doveva dunque manlevare l'impresa.
E ciò in quanto essi giudici ritenevano decisiva l'esclusione testuale: infatti, innanzitutto, le condizioni generali della polizza contro la responsabilità civile escludevano dal rischio assicurato i danni per infiltrazioni derivanti da acqua piovana o agenti atmosferici in genere.
Altra circostanza di rilievo era considerata il fatto che l'estensione espressa in polizza ai danni da infiltrazione d'acqua era prevista solo per i casi di lavori di costruzione e manutenzione degli edifici.
E tale non veniva ritenuta dai giudici l'attività di manutenzione del marciapiede pubblico.
Secondo la Corte di Cassazione, invece, adita in grado di Legittimità esclusivamente per l'esclusione dell'assicurazione dall'obbligo di risarcire, no.
Il principio di fondo su cui si basano i giudici della Cassazione è quello per cui, oltre al dato testuale, nell'attività di interpretazione volta a individuare e delimitare cosa fosse oggetto della polizza al momento della stipula, si deve tenere conto del fatto che:
la polizza era stata stipulata con riferimento allo specifico contratto di appalto stipulato tra il comune e l'impresa e che pertanto l'oggetto della garanzia doveva essere ricostruito tenendo conto della natura dei lavori di cui al contratto.
Nello specifico, i danni erano consistiti nella produzione di infiltrazioni d'acqua derivanti da attività di rifacimento del marciapiede.
Pertanto, per quanto la clausola estendesse espressamente la copertura al solo caso di costruzione e manutenzione di edifici, essa, secondo la sentenza, va interpretata estensivamente sino a includere i lavori edilizi in genere, tra i quali rientrerebbe certamente quello di rifacimento del marciapiede.
L'oggetto della garanzia va individuato insomma tenendo conto anche della volontà delle parti.
E ciò sulla base del principio di intepretazione dei contratti secondo cui, oltre al dato letterale, bisogna tenere in considerazione la comune volontà delle parti quale emerge dal complesso dell'atto e dalla natura dell'affare (art. 1362 e 1363 c.c.) (Cass. n. 17581/2015).
Altrimenti, si prosegue in sentenza, non si comprenderebbe quale fosse in questo caso (caso per il quale il contratto era stato specificamente sottoscritto) il rischio effettivamente coperto: infatti, erano i lavori di rifacimento del marciapiede quelli per i quali era stata richiesta la stipulazione della polizza come presupposto per la concessione dell'appalto.
La sentenza richiama, inoltre, i principi di buona fede, secondo cui il contratto va interpretato in base a buona fede della parti (v. art. 1366 c.c.); di conservazione del contratto, secondo cui il contratto o le singole clausole dello stesso, vanno interpretati:
nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno (v. art.1367 c.c.); e di interpretazione contro l'autore della clausola, secondo cui le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro (v. art. 1370 c.c.).
Vi è poi un dato normativo rilevato dalla ricorrente, e meno dalla sentenza in commento, e cioè quello per cui in materia di appalti pubblici alcune norme impongono all'esecutore dei lavori di dotarsi di una polizza assicurativa che tengano indenni le amministrazioni da danni a terzi (v. oggi artt. 125, d.p.r. n. 207/2010 e 129, D.Lgs. n. 163/2006).
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