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In una fase di persistente congiuntura economica negativa, come quella che ormai da tempo attanaglia l'Italia, ma in cui si registrano confortanti, e sicuramente interessanti, segnali di ripresa nel settore turistico, sono sempre più numerosi coloro che si cimentano nel comparto dell'ospitalità.
E così, nell'ambito della sempre più diffusa sharing economy, si moltiplicano le attività di Bed & Breakfast e di affittacamere all'interno dei condomini.
Attività ricettive non sempre viste di buon occhio da parte degli altri condomini, a causa dell'inevitabile via vai degli ospiti. Una convivenza che i giudici, nei casi concreti sottoposti alla loro valutazione, delineano in maniera differente, in base soprattutto a quelle che sono le specifiche clausole contenute nei diversi regolamenti condominiali.
Preliminarmente, prima di addentrarci nei contenuti dei provvedimenti giurisdizionali, individuiamo la definizione normativa delle attività di affittacamere e di quella di Bed and Breakfast e il relativo perimetro di azione.
Il Codice del Turismo, ossia il Decreto Legislativo n. 79 del 23 maggio 2011, seppur dichiarato incostituzionale in diversi articoli (sentenza n. 80/2012 della Corte Costituzionale), rappresenta il principale punto di riferimento ai nostri fini
Infatti, tale provvedimento definisce con il termine di affittacamere le strutture ricettive, composte da non più di sei camere, ubicate in più appartamenti ammobiliati nello stesso stabile nei quali vengono forniti agli ospiti, in maniera imprenditoriale, alloggio ed eventualmente, se in possesso delle prescritte autorizzazioni, servizi complementari.
Per quanto riguarda i Bed & Breakfast, a prescindere se l'attività venga esercitata in maniera strettamente familiare o imprenditoriale, il Codice definisce tali strutture come quelle in cui si forniscono servizi di alloggio e prima colazione utilizzando parti della stessa unità immobiliare, purché funzionalmente collegate e con spazi familiari condivisi.
Preme sottolineare che, premessa la normativa a carattere nazionale, ciascuna Regione disciplina con propria legge il settore, adeguando la regolamentazione alle specifiche peculiarità territoriali.
Come anticipato, per stabilire la legittimità o meno dall'esercizio di un'attività di affittacamere o di Bed & Breakfast all'interno di uno stabile è fondamentale verificare e valutare con attenzione le specifiche clausole del regolamento condominiale.
In tal senso, sono illuminanti alcuni recenti sentenze di merito emanate dalle autorità giurisdizionali.
Con specifico riferimento all'attività di affittacamere, ha ben delineato ruoli ed obblighi degli attori in causa, a prescindere dalla concreta fattispecie e dagli esiti del giudizio, una recente sentenza del Tribunale di Milano, la numero 1947 del 22 febbraio scorso.
La fattispecie su cui è stato chiamato a decidere il Tribunale lombardo riguardava la citazione in giudizio da parte di un condominio di una condòmina che con regolare contratto stipulato aveva concesso in locazione il proprio appartamento ad uso abitativo a una società, riconoscendo alla conduttrice espressa facoltà di sublocare l'immobile, e che quest'ultima, tramite la stipulazione di contratti di sublocazione, aveva di fatto utilizzato l'appartamento per svolgervi attività di affittacamere o bed and breakfast, o comunque, per esercitarvi un'attività imprenditoriale.
Ciò, secondo quanto lamentato dall'attore, costituiva violazione del regolamento condominiale.
Per tale ragione, il condominio chiedeva al giudice la condanna delle convenute (condomina e società) all'immediata cessazione di tale utilizzo dell'immobile.
La sentenza, preliminarmente, evidenzia che il proprietario di un immobile ubicato all'interno di un condominio è obbligato al rispetto del regolamento condominiale ed è responsabile di fronte alla collettività condominiale della violazione del regolamento, anche se operata dal conduttore del suo bene, essendo tenuto a imporre a quest'ultimo il rispetto del regolamento.
Si tratta di un principio ribadito in più occasioni dalla Corte di Cassazione che ha evidenziato come in tema di condominio degli edifici, e nell'ipotesi di violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell'edificio condominiale a determinati usi, il condominio può richiedere la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore.
Infatti, il condomino che abbia locato la propria unità abitativa a un terzo risponde nei confronti degli altri condomini delle ripetute violazioni al regolamento condominiale consumate dal proprio conduttore qualora non dimostri di avere adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee, alla stregua del criterio generale di diligenza posto dall'art. 1176 del Codice Civile, a far cessare gli abusi, ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione.
On concreto, il condomino, quale principale destinatario delle norme regolamentari, si pone nei confronti della collettività condominiale non solo come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua ma anche come responsabile delle violazioni delle stesse norme da parte del conduttore del suo bene, essendo tenuto non solo a imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento ma, altresì, a prevenirne le violazioni e a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto.
Altre due interessanti recenti sentenze in materia sono state emanate dal Tribunale di Roma, con esiti diametralmente opposti rispetto agli interessi in causa.
Il discrimen decisivo, oltre che dalle specifiche valutazioni dei giudici, è stato rappresentato dalle statuizioni dei regolamenti dei condomini coinvolti nelle fattispecie concrete.
E così, la sentenza del Tribunale capitolino pubblicata il 9 maggio scorso, il cui input è stato l'atto di citazione notificato dal condominio nei confronti della proprietaria di un'unità immobiliare adibita all'attività di affittacamere da parte della società conduttrice, ha accolto la domanda di condanna alla cessazione di tale attività.
La domanda del condominio si basava sul divieto, espressamente sancito dal regolamento condominiale, di adibire i singoli appartamenti ad esercizio di locanda o affittacamere.
Parte attrice, attraverso prove testimoniali e documenti probatori relativi alla pubblicità reperita su internet, ha dimostrato la reale e concreta attività esercitata all'interno dell'immobile.
Il giudice ha ritenuto priva di pregio l'eccezione sollevata dal parte del convenuto secondo cui l'attività di affittacamere non sarebbe in sé vietata ma soltanto nell'ipotesi in cui possa creare molestia o disturbo nei confronti degli altri condomini.
Il giudice ha sottolineato che la disposizione regolamentare è chiara e netta nel prevedere il divieto, in via del tutto autonoma, senza individuare ulteriori distinzioni e condizioni.
In tal senso, il regolamento condominiale in oggetto avrebbe, a priori, valutato l'esistenza del pregiudizio derivante dall'attività vietata.
Soltanto qualche mese prima, il medesimo Tribunale di Roma, con sentenza n° 510 del 10 gennaio 2018, si era espresso in maniera differente.
Infatti, all'esito della causa promossa dal condominio, tanto nei confronti del proprietario dell'immobile quanto nei confronti del conduttore dello stesso che esercitava l'attività di Bed & Breakfast, per presunta violazione della clausola del regolamento condominiale che vieta di destinare qualsiasi unità immobiliare ad uso di locanda o pensione, ha respinto la domanda di condanna alla cessazione dell'attività ricettiva, ritenendola non fondata.
Nella fattispecie, i convenuti hanno valorizzato i contenuti del contratto di locazione che, nello specifico, prevede l'utilizzo per l'attività di affittacamere di tre stanze, senza uso di cucina, ristorazione e servizio di prima colazione. Pertanto, come sostenuto dai convenuti, la destinazione dell'immobile, non essendo assimilabile a quella di locanda o pensione, non appare rientrare tra i divieti posti dal regolamento condominiale.
Acclarato dal giudicante, attraverso prove testimoniali e documentali acquisite, che l'attività concretamente esercitata all'interno dell'immobile è classificabile come Bed & Breakfast, la sentenza rigetta la domanda proposta dal condominio in quanto tale attività è sostanzialmente diversa dall'esercizio di una locanda o pensione oggetto del divieto posto dal regolamento condominiale.
Infatti, le due tipologie di attività espressamente indicate dal regolamento presuppongono, insieme alla messa a disposizione di una camera per l'alloggio, anche la prestazioni di un servizio di ristorazione ben più ampio di quello offerto dal b&b, ossia la semplice colazione, esteso al pranzo o alla cena o ad entrambi. Si tratta, quindi, secondo il giudice di attività che richiedono non solo una dimensione organizzativa e anche di personale più ampia, ma anche una maggiore frequentazione dei locali da parte dei clienti ospiti.
Differenze quantitative e qualitative, che sottraggono tale attività al divieto posto dalla norma regolamentare. Da sottolineare la valutazione espressa dal giudice circa il profilo svolto dal condominio che intendeva equiparare tutte le attività ricettive, sostenendo che la ratio del divieto regolamentare consisterebbe, comunque, nel non consentire nel condominio l'accesso indiscriminato a estranei. Tale deduzione è stata ritenuta non condivisibile in quanto tale finalità non emerge dalla disposizione regolamentare che, altrimenti, vieterebbe anche l'esercizio degli studi professionali che, invece, non vengono menzionati.
Per principio di ordine generale, i divieti posti dal regolamento condominiale all'uso dei beni esclusivi sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di applicazione né estensiva né analogica in quanto concretizzano limitazioni al diritto di proprietà.
La circostanza, pertanto, che il divieto posto dal regolamento sia limitato all'attività di locanda o pensione rende non accettabile l'estensione di esso anche ad attività ad esse avvicinabili dal punto di vista della destinazione d'uso, ma sostanzialmente diverse, dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo, nel loro atteggiarsi in concreto.
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