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Un argomento che accalora sempre le persone che vivono in condominio è quello riguardante la tenuta degli animali.
Chi li ama e chi non proprio li odia, ma diciamo che non li sopporta. Spesso a ragione, ammettiamolo.
Gli animali possono turbare i rapporti di vicinato nei modi più vari: con il rumore, la sporcizia, i danni a cose e persone.
Ciascuna di dette forme di disturbo, se assume certe dimensioni, può trasformarsi in illecito, civile, penale o amministrativo.
Al contempo, c'è chi ama gli animali, al punto di avere scelto di averli in casa, di vivere con loro e condividere ogni cosa, arrivando a preferire la compagnia animale a quella umana, spesso stupendosi del fatto che gli altri non provino le stesse sensazioni.
Entrambe le esigenze, quelle di avere con sé gli animali e quelle di vivere senza il disturbo da loro arrecato meritano attenzione, senza dubbio.
Ricordando che quella in condominio è una convivenza, che ci piaccia o no, e dunque richiede dei compromessi, da parte di tutti e che l'educazione dovrebbe regolare tutti i comportamenti.
Norme di buon senso a parte, detto ciò, vediamo cosa prevede le legge in materia.
Con riferimento specifico alla vita in condominio, fino alla riforma (che, lo ricordiamo, è contenuta nella L. n. 220/2012), la legge non prevedeva alcunché.
Esistevano invece regolamenti che vietavano la presenza di animali in condominio.
In assenza di limiti normativi, erano leciti tali divieti?
Come dunque spessissimo accade, era lasciato ai giudici il compito di rispondere alla domanda, ed evidentemente decidere volta per volta chi avesse ragione, quale interesse sacrificare, etc. (il contenzioso in materia era piuttosto folto).
La principale domanda cui i giudici dovevano dare risposta riguardava quindi la liceità delle clausole del regolamento condominiale che vietavano la detenzione di animali domestici nelle singole abitazioni (o anche negli spazi comuni).
L'orientamento generale, su cui si attestava la giurisprudenza in materia di divieti contenuti nel regolamento condominiale, era quello secondo cui solo un regolamento di origine contrattuale, dunque in sostanza adottato con il consenso di tutti i condòmini, poteva prevedere clausole limitative del diritto di proprietà, quali erano appunto le clausole che vietavano la presenza di animali domestici in condominio (proprio sul divieto di detenzione degli animali, v. ad es. Cass. n. 12028/1993, 3705/2011).
Ma, la domanda fondamentale è poi un'altra: è giusto che un regolamento, anche se di origine contrattuale, contenga tale tipo di divieto?
La legge di riforma del condominio, con l'inserimento del quinto comma all'art. 1138 c.c. (articolo dedicato al regolamento di condominio ha affrontato la questione con la previsione che i regolamenti di condominio:
non possono vietare di possedere o detenere animali domestici (v. art. 1138, co.5 c.c.).
Il testo della norma non specifica se rientrino nel divieto anche i regolamenti contrattuali.
Ad oggi il divieto sembra possa essere interpretato come valevole per tutti i tipi di regolamento condominiale (v. Trib. Piacenza 22/11/2016 e Trib. Cagliari 21/07/2016, ma si registrano pochi decisioni sul punto).
Tale norma è stata ritenuta applicabile anche ai regolamenti contrattuali, e non, precedenti alla riforma (Trib. Cagliari 21/07/2016).
Mentre, è stata ritenuta legittima la clausola che vieta la presenza di animali in ascensore, in quanto disciplinante parti comuni (Trib. Monza 28/03/2017).
Dunque, l'art. 1138, co. 5 c.c. prevede oggi che il regolamento non può vietare
non possono vietare di possedere o detenere animali domestici (v. art. 1138, co.5 c.c.).
Leggendo il testo della norma possiamo individuare i suoi limiti di applicazione: innanzitutto, il riferimento è sia al possesso che alla detenzione: quale differenza c'è tra le due situazioni?
Esse sono definite nel codice civile come:
il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (v. art. 1140, co. 1 c.c.).
(il primo), e come il possesso per mezzo di altra persona (la seconda) (v. art. 1140 c.c.); insomma, per dirla in breve, detiene chi ha con sé un animale posseduto da altri (riconoscendo l'altrui possesso).
Inoltre, la norma si riferisce solo agli animali domestici: ciò significa che il regolamento condominiale, ove accettato ad tutti, può invece vietare la detenzione o il possesso di animali che non siano domestici.
È quindi necessario individuare l'ambito applicativo della norma.
Quali sono gli animali definibili come domestici? Certamente gli animali che nel comune sentire sono definibili come tali, ossia, ad es. i cani, i gatti, i canarini, i pesci.
Bisogna poi certamente considerare i limiti di legge: cioè non sono certo ammissibili gli animali il cui possesso è vietato dalla legge e quelli che non sono tenuti con il rispetto delle condizioni prescritte dalla legge (v. L. n. 150/1992 e D.M. 19.04.1996): ad es. non posso essere detenuti animali.
Ricordiamo in ogni caso che il proprietario dell'animale risponde in sede civile, penale e amministrativa dei danni da questo arrecati; ciò, naturalmente anche se il danno l'illecito si è verificato i condominio.
In sede civile, dispone l'art. 2052 c.c. che:
Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito (art. 2052 c.c.).
Mentre in sede penale, la norma principale era quella contenuta nell'art. 672 c.p., dedicato all'omessa custodia e mal governo di animali; ad oggi l'illecito è stato depenalizzato, dunque la sanzione è amministrativa e non penale.
Sempre in sede penale, si può ad es. incorrere nel reato previsto dall'art. 590 c.p. di lesioni personali colpose.
In sede amministrativa si risponde delle violazioni alle prescrizioni previste ad es. dalla su citata legge sulla detenzione di animali che posso costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica (L. n .150/1992).
In ogni caso, gli animali vanno tenuti nel rispetto della civile convivenza, delle norme condominiali, dell'utilizzo delle parti comuni da parte degli altri condòmini.
In caso di comportamenti che arrechino disturbo o danno alle parti comuni, a parte le iniziative che può intraprendere ciascun condòmino (ma sella legittimazione ad agire dei singoli a tutela delle parti comuni la giurisprudenza non è costante), l'amministratore, nell'esercizio dei suoi compiti potrà/dovrà: a seconda del caso concreto e nell'ambito sua discrezionalità, richiamare all'ordine i disturbatori, iniziando eventualmente con tentavi bonari espressi per via orale, per passare ad es. ad ammonimenti sulla bacheca, a comunicazioni scritte o all'adozione di provvedimenti ex art. 1133 c.c.; anche l'assemblea potrà assumere iniziative; l'azione più “aggressiva” (tra quelle ammesse dalla legge, ovviamente) sarà naturalmente quella giudiziale.
In sede civile si potrà eventualmente agire anche in via di urgenza, nonché chiedere la condanna al pagamento del risarcimento del danno eventualmente prodotto; in sede penale o amministrativa si potrà denunciare il fatto all'autorità preposta ed eventualmente partecipare, con le modalità di legge, al procedimento che verrà avviato da questa.
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