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Leggendo la sentenza n. 5039 resa dalla Corte di Cassazione lo scorso 28 febbraio, si resta stupiti, almeno per chi non la conosce, a sentir parlare di altana.
La stessa cosa, evidentemente, l'hanno pensata i giudici di piazza Cavour che differentemente, ad esempio, da un caso riguardante un cancello o un portone, si sono soffermati a descrivere l'altana.
Come dire: a scanso di equivoci chiariamo senza ombra di dubbi di che cosa stiamo parlando.
Si legge in sentenza: innanzitutto è opportuno definire la natura e la struttura dell'altana, che costituisce un manufatto particolare tipico, soprattutto (ma non solo), della città di Venezia (e la controversia in esame è riferita proprio ad una costruzione di questo genere sita nel capoluogo Veneto).
L'altana (chiamata anche belvedere) è, in sostanza, una piattaforma o loggetta realizzata (di regola in legno, con sua relativa precarietà) nella parte più elevata di un edificio (ed alla quale si accede, in genere, dall'abbaino, altro tipico elemento dell'architettura veneziana), che, in alcuni casi, può anche sostituire il tetto e che, a differenza delle terrazze e dei balconi, non sporge, di norma, rispetto al corpo principale dell'edificio di pertinenza (Cass. 28 febbraio 2013, n. 5039).
Compreso che cos'è un'altana, è bene capire perché era diventata causa di litigio.
Detta in poche parole: un condomino l'aveva edificata sul tetto dell'edificio sicché dei suoi vicini, non gradendo l'opera, l'avevano contestata considerandola alla stregua di una sopraelevazione.
La Corte d'appello, pur ordinando la demolizione, riteneva che l'altana non fosse una sopraelevazione ma che dovesse configurarsi alla stregua di un'opera illegittima ai sensi dell'art. 1102 c.c.
La Cassazione, nel respingere il ricorso del condomino che aveva costruito l'altana, ha confermato questa di posizione.
Vediamo perché.
Si legge nella sentenza degli ermellini, che per consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 2865 del 2008 e Cass. n. 19281 del 2009), la sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c. si configura nei casi in cui il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale esegua nuovi piani o nuove fabbriche in senso proprio ovvero trasformi locali preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie, ma non anche quando egli intervenga con opere di trasformazione relative all'utilizzazione del tetto che, per le loro caratteristiche strutturali (come quelle riconducibili ad un manufatto che occupi parzialmente la superficie del tetto stesso senza costituire un innalzamento, in senso stretto, in continuità ed in sovrapposizione rispetto all'ultimo piano), siano idonee a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini e ad attrarlo nell'uso esclusivo del singolo condomino.
In tal senso, quindi, ai sensi del citato art. 1127 c.c., costituisce sopraelevazione soltanto l'intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato condominiale, mediante occupazione della colonna d'aria soprastante.
E, del resto, la giurisprudenza di questa Corte è concorde anche nel rilevare che, in tema di condominio, sono legittimi, ai sensi dell'art. 1102 c.c., sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l'uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno, con la conseguenza che, per converso, deve qualificarsi illegittima la trasformazione – anche solo di una parte - del tetto dell'edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all'utilizzazione da parte degli altri condomini (cfr., ad es., Cass. n. 1737 del 2005; Cass. n. 24414 del 2006 e Cass. n. 5753 del 2007) (Cass. 28 febbraio 2013, n. 5039).
In questo contesto, conclude la Corte di Cassazione, il giudice di appello la cui sentenza era stata impugnata aveva fatta bene a non considerare l'altana alla stregua di una sopraelevazione ed allo stesso modo non aveva errato a considerarla illegittima ai sensi dell'art. 1102 c.c., in quanto la sua realizzazione aveva leso il pari diritto all'uso, sia pur potenziale, del tetto comune.
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