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Per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio qualificati come lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria (che danno diritto alla detrazione fiscale del 50%) trova applicazione l'IVA agevolata con aliquota ridotta del 10%.
Tale aliquota trova applicazione certamente sulle prestazioni di servizi rese nell'ambito dei lavori (quindi ad esempio sull'opera di demolizione e rifacimento della tramezzatura).
Trova altresì applicazione anche sui beni ma solo se ceduti nell'ambito del contratto di appalto.
Tuttavia, quando quest'ultimo fornisce beni di valore significativo, l'Iva ridotta si applica ai predetti beni soltanto fino a concorrenza del valore della prestazione considerato al netto del valore dei beni stessi.
In pratica, in questo caso l'IVA al 10% si applica solo sulla differenza tra il valore complessivo della prestazione e quello dei beni stessi.
Sono considerati beni significativi quelli individuati dal decreto 29 dicembre 1999 (ascensori e montacarichi, infissi esterni e interni, caldaie, video citofoni, apparecchiature di condizionamento e riciclo dell'aria, sanitari e rubinetteria da bagni, impianti di sicurezza).
Si ricorda, inoltre che con la manovra di bilancio 2018 il legislatore ha fornito una norma di interpretazione autentica, spiegando come individuare correttamente il valore dei beni significativi quando con l'intervento vengono forniti anche componenti e parti staccate degli stessi beni (si pensi, per esempio, alle tapparelle e ai materiali di consumo utilizzati in fase di montaggio di un infisso).
Con essa si è definito il principio generale secondo cui la determinazione del valore va effettuata sulla base dell'autonomia funzionale delle parti staccate rispetto al manufatto principale. Si veda a tal proposito anche la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 15/E del 2018.
Dalla guida dell'Amministrazione finanziaria si evince, comunque, che in ogni caso l'aliquota IVA ridotta non trova applicazione per i materiali o ai beni forniti da un soggetto diverso da quello che esegue i lavori; i materiali o ai beni acquistati direttamente dal committente; le prestazioni professionali, anche se effettuate nell'ambito degli interventi finalizzati al recupero edilizio; le prestazioni di servizi resi in esecuzione di subappalti alla ditta esecutrice dei lavori (in questa ipotesi, la ditta subappaltatrice deve fatturare con l'aliquota Iva ordinaria del 22% alla ditta principale che, successivamente, fatturerà la prestazione al committente con l'Iva al 10%, se ricorrono i presupposti per farlo).
Le stesse regole si applicano anche per il lavori di riqualificazione energetica ossia quelli che danno diritto al c.d. ecobonus.
Per il resto degli interventi di recupero del patrimonio edilizio (restauro e risanamento conservativo; ristrutturazione) trova, invece, sempre applicazione l'aliquota Iva del 10% e ciò sia con riferimento alle prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto o d'opera sia per:
Il beneficio vale anche quando i sopracitati beni sono acquistati e forniti dallo stesso committente/contribuente e non solo quando sono forniti dall'impresa che esegue i lavori.
È bene ricordare che sono qualificati come interventi di restauro e risanamento conservativo ad esempio mirati all'eliminazione e alla prevenzione di situazioni di degrado; all'adeguamento delle altezze dei solai nel rispetto delle volumetrie esistenti; all'apertura di finestre per esigenze di aerazione dei locali. Insommo sono tali tutti quegli interventi destinati a conservare l'immobile e assicurarne la funzionalità per mezzo di un insieme di opere che, rispettandone gli elementi tipologici, formali e strutturali, ne consentono destinazioni d'uso con esso compatibili.
Rientrano, invece, tra le opere di ristrutturazione quelli rivolti a trasformare un fabbricato mediante un insieme di opere che possono portare a un fabbricato del tutto o in parte diverso dal precedente senza aumentarne la volumetria (demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria dell'immobile preesistente; modifica della facciata; realizzazione di una mansarda o di un balcone; trasformazione della soffitta in mansarda o del balcone in veranda; apertura di nuove porte e finestre; costruzione dei servizi igienici in ampliamento delle superfici e dei volumi esistenti, ecc.).
Tra i beni significativi di cui al citato DM del 1999 il legislatore inserisce le caldaie.
Non sono, quindi, menzionate le stufe a pellet. Si è sempre posto il dubbio, quindi, se queste potessero essere assimilate alle caldaie e, quindi, godere anch'esse dell'aliquota ridotta del 10%.
La questione è stata affrontata in passato dall'Agenzia delle Entrate in risposta ad apposita istanza di interpello (nota del 22 maggio del 2014).
L'Amministrazione in tale sede ha esordito evidenziando che con riferimento con riferimento alla cessione con posa in opera di stufa a pellet, al fine di stabilire se applicare o meno l'aliquota ridotta del 10%, occorre in primis comprendere se tale bene, in considerazione delle sue caratteristiche abbia o meno le stesse funzionalità di una caldaia, definita dall'art. 2, comma 1, lettera g) del D. Lgs. 19 agosto 2005 n. 192 come il complesso bruciatore – caldaia che permette di trasferire al fluido termovettore il calore prodotto dalla combustione.
In linea generale, ha proseguito l'Agenzia delle Entrate, la stufa a pellet può essere utilizzata sotto il profilo funzionale come:
a) impianto generatore di calore, da utilizzare per riscaldare l'acqua che alimenta il sistema di riscaldamento, oltre che per produrre acqua sanitaria;
b) impianto utilizzato per il solo riscaldamento dell'ambiente, senza possibilità di produrre acqua sanitaria ovvero acqua che alimenti il sistema di riscaldamento.
L'Amministrazione ha ritenuto che rientrano tra le caldaie, e di conseguenza tra i beni significativi di cui al D.M. 29 dicembre 1999, quegli impianti, nel caso specifico alimentati a pellet, che utilizzano l'acqua come fluido vettore, a prescindere dalla denominazione commerciale utilizzata.
Per contro se la stufa a pellet è utilizzata per il solo riscaldamento dell'ambiente, senza possibilità di produrre acqua sanitaria ovvero acqua che alimenti il sistema di riscaldamento, questa non dovrà essere ricompresa tra i beni significativi.
Dunque, sintetizzando, nel caso la stufa abbia le funzionalità di cui al punto a) potrà trovare applicazione l'aliquota del 10% con le regole evidenziate nel precedenti paragrafi.
Nel caso di cui al punto b), invece, l'IVA sarà al 22% (in questo caso, tuttavia, è stato precisato che a quest'ultima tipologia di stufa, dovrà essere considerata parte indistinta della prestazione di servizi come chiarito dalla Circolare 7 aprile 2000, n.71/E del Ministero delle Finanze, qualora la prestazione venga realizzata nell'ambito di un intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria su un fabbricato a prevalente destinazione abitava, dunque, interamente assoggettata ad aliquota Iva ridotta del 10%).
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