|
Quando si parla di uso delle cose comuni in condominio siamo abituati a fare riferimento al primo comma dell'art. 1102 c.c. che recita:
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Si tratta della norma che, assieme a quelle contenute nel regolamento di condominio, mira a tutelare il diritto di ciascun condomino a servirsi delle parti comuni senza che ciò possa impedire o limitare il pari diritto degli altri.
Per comprendere gli esatti limiti imposti da tale disposizione è necessario fare riferimento all'interpretazione fornita dalla giurisprudenza.
Secondo la Cassazione il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la nozione di pari uso del bene comune non è da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell'unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine (Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).
Un ruolo fondamentale per la regolamentazione dell'uso è attribuito all'assemblea.
Così, ad esempio, in materia di uso dei parcheggi condominiali, insufficienti a contenere contemporaneamente le autovetture di tutti i condomini è stato affermato che la disciplina turnaria dei posti macchina, lungi dal comportare l'esclusione di un condomino dall'uso del bene comune, – come ritiene la sentenza impugnata, – è adottata per disciplinare l'uso di tale bene in modo da assicurarne ai condomini il massimo godimento possibile nell'uniformità di trattamento e secondo le circostanze; che la delibera, la quale disciplina l'uso di un bene comune può essere legittimamente assunta con le maggioranze di cui all'art. 1136 cod. civ., purché sia assicurato il pari uso di tutti i condomini, e cioè il massimo godimento possibile, come è avvenuto nel caso in esame (così, su tutte, Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).
Nel caso di uso illegittimo quale, ad esempio, l'abuso del diritto da parte del singolo, l'amministratore, su input dell'assemblea o d'ufficio, e ciascun condomino possono porre in essere tutte le attività utili, ivi compreso il ricorso all'azione giudiziaria, per farlo cessare.
Lo stesso dicasi nel caso di alterazione della destinazione d'uso.
Si pensi al posto auto che viene utilizzato quale deposito di oggetti o al vano caldaia usato a mo' di cantinola.
Con l'entrata in vigore della riforma, vale a dire a partire dal 18 giugno 2013, le cose cambieranno, o meglio la legge conterrà uno strumento ulteriore a tutela delle destinazioni d'uso.
Il riferimento è al nuovo art. 1117-quater c.c. che recita:
In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136.
Due le condizioni di operatività della norma: l'uso deve incidere negativamente ed in modo sostanziale sulla destinazione d'uso di una parte comune.
Per destinazione d'uso deve intendersi quella risultante dalla documentazione catastale o, nel caso di beni non censibili (es. vano scale) quella intrinseca alle caratteristiche del bene medesimo.
Si pensi al giardino condominiale che uno dei condomini, inopinatamente, utilizza per parcheggiare la propria autovettura.
O, ancora, all'androne comune nel quale uno dei comproprietari piazza il proprio scooter.
In tali casi, se sussisteranno i due elementi negativi succitati i condomini (anche singolarmente), l'amministratore e l'assemblea (con le maggioranze previste per la nomina dell'amministratore) potranno diffidare, eventualmente anche tramite azioni giudiziarie, il trasgressore.
In definitiva, quindi, nessuna novità sostanziale rispetto a quanto previsto più genericamente dall'art. 1102 c.c. ma più semplicemente l'inserimento di una norma ad hoc con riferimento alla tutela delle destinazioni d'uso delle parti comuni condominiali.
|
||