|
In condominio, come in comunione, l'uso delle parti comuni ad opera del singolo deve avvenire in maniera da non ledere il diritto degli altri all'uso della cosa comune. Il principio, volto a tutela della civile convivenza e dei diritti di tutti, è sancito in particolare dall'art. 1102 c.c., applicato al condominio per il rinvio ex art. 1139 c.c.
Ma, come comportarsi davanti ad azioni prepotenti di vicini che utilizzano la cosa comune come un bene proprio?
Il più delle volte si tratta di usi un po' personali della cosa, e dovrebbe bastare un bell'incontro pacificatorio a risolvere la questione. Incontro informale, oppure in assemblea, oppure in sede di mediazione civile, o infine, rinunciando il più delle volte alla pacificazione dei rapporti, davanti al giudice, il quale in un modo o in un altro, metterà la parola fine alla controversia. In questi casi la labilità del confine tra uso conforme ed uso non conforme del bene comune consiglierebbe appunto una soluzione stragiudiziale, dati gli esiti incerti del processo.
Anzi, dato che spesso detti comportamenti derivano da ripicche, risentimenti etc, la vera interruzione della catena la darebbe appunto un accordo bonario tra le parti.
In altri casi, si spera più rari, il carattere prepotente dell'azione è evidente e, fatti salvi i tentativi bonari, sempre vivamente consigliati, il risultato dell'azione legale si appalesa più incisivo che nel caso precedente. Se ad esempio, un condomino installa nel bel mezzo del muro di cinta un cancello, l'evidente noncuranza nei confronti dei diritti degli altri farà poco sperare in un buon esito conciliativo o transattivo.
L'incidenza dell'azione prepotente sui diritti degli altri sarà tale da farla rientrare nella categoria dell'impossessamento, violento o clandestino.
Contro tale ipotesi l'ordinamento prevede l'utilizzo di un azione legale specifica, detta di reintegrazione del possesso e regolata dagli artt. 1168 e 1169 c.c.
Tale azione consente di chiedere al giudice che ordini la reintegrazione, cioè la rimessione in possesso del bene. L'azione, tutelando il possesso e non la proprietà, può essere fatta valere sia dal proprietario del bene che da chi lo detiene, quindi, per pensare ad alcuni tra i casi più frequenti, dal conduttore, o anche dall'appaltatore (v. Cass. n. 7700/1996) o dal convivente nei confronti del compagno proprietario del bene (v. Cass. n. 19423/14). Il proprietario dovrà, perlomeno in caso di contestazione, dimostrare il possesso e non la proprietà (ad es. Cass. n. 5760/2004, Cass. n. 4057/1989). Deve insomma essere dimostrato in giudizio il rapporto di fatto con la cosa. Ciò perché il proprietario avrebbe già a disposizione le diverse azioni di tutela della proprietà.
L'azione deve essere intentata entro un anno dall'evento. Lo spoglio può essere violento (posto con atti arbitrari, contro la volontà espressa o tacita del possessore, secondo Cass. n. 11453/2000) o clandestino (cioè posto mediante atti che non potevano venire a conoscenza dello spogliato secondo Cass. n. 1217/2006).
Un altro presupposto essenziale dell'azione di spoglio è dato dal cosiddetto animus spoliandi che può essere inteso come la intenzione di attentare alla posizione possessoria altrui (Cass. 8489/2014) o la consapevole volontà di sostituirsi nella detenzione parziale o tatale nel godimento del bene al detentore, contro la volontà di questo (così Cass. 4226/85) o la consapevolezza di sovvertire una situazione possessoria contro la volontà espressa o presunta del possessore (v. Cass. n. 8059/1995 e altre). Inoltre, è stato stabilito che può legittimamente ritenersi insito nell'atto stesso di privare del godimento il possessore contro la sua volontà (Cass. n. 1997/2001).
In particolare in condominio, lo spoglio della parte comune è definito come trasformazione dell'uso del bene da uti condominus (uso da condomino) ad uti dominus (da proprietario). Il condomino cioè non usa più il bene considerandolo una parte in comune con altri, ma come se fosse di sua proprietà.
Nel caso del compossesso, quindi delle parti comuni in condominio, la giurisprudenza è costante nel ritenere che il mancato uilizzo degli altri condomini non esclude l'animus spoliandi del condominio che si impossessi del bene trasformandone l'utilizzo da uti condominus con l'uso uti dominus (v. Cass. n. 13747/2002), costituendo quest'ultima non utilizzazione manifestazione delle facoltà ricomprese nel diritto di proprietà e nel relativo possesso (Cass. n. 18281/14 ma v. anche Cass. n. 13747/2002), mentre quella coincide con una trasformazione dello stesso (spazio comune) ad uso definitivamente esclusivo uti domini (Cass. n. 13747/2002).
In aggiunta all'azione di reintegrazione, esiste anche, sempre a tutela del possesso (che però deve durare in maniera continua ed ininterrotta da oltre un anno) l'azione di manutenzione ex art. 1170 c.c., prevista in particolare contro le molestie nel possesso, in assenza di impossessamento violento o clandestino. L'azione va intentata entro un anno dalla turbativa.
Con l'azione di manutenzione è stato ad esempio avviato il processo poi conclusosi con la sentenza della Cassazione n. 7748/2011, che ha riconosciuto una molestia eliminabile ex art. 1170 c.c. la costruzione di un varco nel muro perimetrale di collegamento tra un immobile appartenente ad un condominio ed un altro, dello stesso proprietario esterno al condominio, in quanto servitù non autorizzata da tutti i partecipanti del condominio.
L'elemento soggettivo dell'azione di manutenzione è detto animus turbandi, inteso a volte come la volontà del fatto di ledere un altrui possesso ritenendosi non rilevante l'eventuale convinzione di esercitare un proprio diritto (v. Cass. n. 22414/2004 o Cass. n. 8829/1997), altre volte, al contrario non la coscienza e volontà di compiere un atto lesivo dell'altrui possesso, bensì la coscienza e volontà di esercitare una propria situazione di possesso (Cass. n. 9871/1994).
I proprietari potranno sempre utilizzare le azioni di nuova opera (art. 1171 c.c.) e di denunzia di danno temuto (art. 1172 c.c.), anche se nella casistica si preferisce l'utilizzo delle azioni a tutela del possesso.
Trattasi sempre di azioni che possono essere intraprese dal condomino per conto proprio o dal condominio nel complesso.
|
||