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Prendiamo spunto da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (la n. 3002 del 10 febbraio 2010) per approfondire il tema delle limitazioni d'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva ubicate in uno stabile condominiale.
La questione è di grande attualità in quanto accade, spesso, alle volte a ragione alle volte a torto, di vedersi contestato, da parte dell'amministratore o dei condomini, un determinato uso del proprio appartamento o locale.
Se poi le contestazioni sorgono successivamente all'acquisto di un piano o porzione di piano, che è stato comprato proprio per farne l'uso contestato, i rilievi mossi hanno il sapore della beffa.
Quando è possibile ritenere lecite la limitazioni?Di conseguenza, quali sono i documenti da consultare prima di un acquisto per essere certi di non andare incontro a lamentele o, peggio ancora, a contenziosi?
Fatte salve particolari disposizioni di carattere urbanistico che impediscano la destinazione d'uso prescelta in relazione all'ubicazione dell'immobile o alla conformazione della singola unità immobiliare, le limitazioni d'uso possono essere contenute solamente nell'atto d'acquisto o in un regolamento condominiale di origine contrattuale.
Il regolamento di condominio è il documento, obbligatorio nei condomini con più di 10 partecipanti (art. 1138, primo comma, c.c.) destinato a disciplinare uso, godimento e amministrazione della cosa comune.
Esso non è altro che una deliberazione assembleare.
Come tale non può incidere sui diritti dei singoli in relazione alle proprie unità immobiliari.
Se, però, il regolamento è di origine contrattuale (vale a dire quello predisposto dal costruttore ed accettato dai condomini al momento della stipula, oppure quello predisposto e sottoscritto da tutti i comproprietari in un momento successivo) la situazione cambia.
Se il regolamento contrattuale è trascritto presso i pubblici registri immobiliari, nel caso di vendite successive alla prima, non è obbligatorio allegarlo al rogito notarile.
La trascrizione, infatti, lo rende opponibile anche ai terzi (cioè nel caso di specie agli acquirenti successivi).
Se, invece, la trascrizione non è stata operata, sarà necessario, per la sua validità verso l'acquirente, che lo stesso sia allegato o quanto meno richiamato ed accettato dagli interessati.
Perché tutto ciò?In un simile regolamento, infatti, a parte le disposizioni concernenti le parti comuni, si potranno rintracciare delle limitazioni alle facoltà d'uso delle proprietà esclusive.
La legittimità dei limiti e divieti sta nel fatto che tutti i condomini, nell'ambito della propria autonomia contrattuale, abbiano deciso d'imporsi determinati vincoli.
Non è sufficiente rispettare le formalità descritte per essere certi che le limitazioni contenute siano di per sé legittime; infatti, le limitazioni stesse dovranno essere formulate in modo tale da essere chiare e precise.
Di ciò è fermamente convinta la Corte di Cassazione, la quale, costantemente, ed anche nella sentenza n. 3002/10, ha affermato che le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni. (Cass. 20 luglio 2009, n. 16832).
Specificando questo concetto la Corte ha avuto modo di precisare che i divieti ed i limiti di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se la destinazione stessa sia inclusa nell'elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, è necessario accertare la idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare) (Cass., n. 1560 del 1995; Cass., n. 9564 del 1997; Cass., n. 11126 del 1994) (Cass. 18 settembre 2009 n. 20237).
In pratica, si vuol dire, ad esempio, che è lecita quella clausola che afferma è vietato adibire le unità immobiliari ad attività di ristorazione.
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