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La versione artificiale della fotosintesi clorofilliana, il più noto processo naturale, rappresenta un obiettivo alquanto ambizioso e ambito dagli scienziati. Riuscire a replicare, magari migliorandolo, ciò che piante e organismi fotosintetici fanno da miliardi di anni, ovvero sfruttare direttamente l'energia solare per produrre elementi chimici utili (come l'idrogeno) sarebbe una svolta a dir poco epocale.
Astrid Olaya, ingegnere chimico dell'EPFL, ha infatti affermato che la fotosintesi artificiale è il Santo Graal di tutti i chimici.
Non è quindi un caso che lo studio per la scoperta di questa tecnologia sia un po' il chiodo fisso di ricerca dell'Istituto di scienze chimiche e ingegneria.
Fino ad oggi, gli studi in questo campo hanno portato alla progettazione di diversi prototipi la cui efficienza globale, però, ha purtroppo soddisfatto poco.
Oggi, gli ingegneri chimici dell'EPFL hanno sviluppato un nuovo approccio alla fotosintesi artificiale, per aumentarne la resa e riuscendo a risolvere alcuni dei problemi più comuni.
I classici dispositivi di fotosintesi artificiale sono costituiti da 3 elementi:
Si tratta di un processo molto lento. Il problema di fondo sta nella difficoltà a reperire materiali per elettrodi dotati di elevata stabilità chimica, adeguate proprietà optoelettroniche ed elevata efficienza catalitica. Sulla base di ciò, la già citata Olaya, ha deciso di metter mano al design classico.
Utilizzando una semplice molecola organica, il tetratiafulvalene (TTF), gli scienziati hanno fotoossidato l'acqua.
Una versione salina del TTF può autoassemblarsi in microbarre che fungono da antenne per raccogliere la luce visibile e in pompe di elettroni per ossidare l'acqua in ossigeno. Come già detto, si tratta di una reazione lenta.
Tuttavia, l'impilamento delle molecole di sale TTF può velocizzare il processo catturando i 4 elettroni necessari per l'ossidazione di una molecola d'acqua e producendo i protoni che servono per generare idrogeno.
I ricercatori hanno anche utilizzato l'acqua in un'emulsione di olio ed hanno dimostrato che l'antenna TTF può risiedere nella fase oleosa vicino alla fase acquosa. Infatti, come nella fotosintesi naturale, il sistema bifasico consente una efficiente separazione dei reagenti e dei prodotti.
Il TTF, essendo costituito solo da carbonio, zolfo e idrogeno, garantisce una maggiore economia e sostenibilità rispetto ai metodi che impiegano metalli preziosi.
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