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La questione della forma dell'atto di impugnazione delle delibere condominiali è stata per lungo tempo grandemente incerta e, nonostante le modifiche al codice civile introdotte dalla così detta riforma del condominio (legge n. 220/2012), rischia d'esserlo ancora.
Vale la pena comprendere quale fosse lo stato dell'arte prima dell'entrata in vigore della legge n. 220/2012 (anche in considerazione del fatto che ciò interessa per tantissime cause tutt'ora in corso iniziate prima di tale evento) e come il nuovo art. 1137 c.c. sia intervenuto in materia di forma dell'impugnazione delle delibere assembleari.
Che cosa diceva l'art. 1137 c.c.?
I precedenti secondo e terzo comma di tale norma recitavano:
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa.
Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
Il contrasto era sorto sul significato da attribuire al termine ricorso.
L'orientamento giurisprudenziale maggioritario riteneva che il termine ricorso fosse stato utilizzato in senso a-tecnico, sicché in materia di condominio l'impugnazione della delibera assembleare poteva avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione (così da ultimo Cass. 28 maggio 2008 n. 14007).
A parere dell'orientamento minoritario, invece, il legislatore quando nella materia del condominio, […], ha usato la parola ricorso per l'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale, non ha inteso soltanto concedere l'azione al condomino dissenziente, ma ha anche stabilito il modo d'impugnazione, in considerazione della sollecita soluzione delle questioni che possono intralciare o paralizzare la gestione del condominio (Cass. civ., 9 luglio 1997, n. 6205).
La disputa, lungi dall'essere una mera disquisizione sul significato di un vocabolo, aveva delle notevoli ripercussioni pratiche che si riflettevano, innanzitutto, sulla stabilità dei rapporti giuridici sottesi alla deliberazione assembleare.
Si ponga il caso che un condomino avesse deciso di rivolgersi ad un legale per impugnare la deliberazione che riteneva essere annullabile (per quelle nulle non si poneva il problema in quanto sono impugnabili in ogni tempo). Se si decideva di utilizzare lo strumento del ricorso, il legale doveva depositarlo in cancelleria entro i 30 giorni di cui al terzo comma dell'art. 1137 c.c.
Successivamente il giudice fissava, con decreto, il giorno dell'udienza e sempre nello stesso provvedimento disponeva il termine entro cui far notificare ricorso e decreto alla controparte (cioè al condominio).
Solitamente, quando si proponeva impugnazione con ricorso si chiedeva fin da subito la sospensione della deliberazione.
La tempistica variava a seconda dell'ufficio giudiziario ma, in media, non utilizzando lo strumento del ricorso nel termine di due mesi, due mesi e mezzo al massimo, dalla deliberazione si terrà la prima udienza in cui si deciderà sulla sospensione della delibera.
Utilizzando la classica citazione in giudizio, essa doveva essere notificata al condominio al massimo entro 30 giorni dalla deliberazione.
Al riguardo è utile osservare quanto segue:
a) tra la data della notificazione e quella dell'udienza devono trascorrere almeno 90 giorni (se si tratta di giudizi davanti al Tribunale art. 163-bis c.p.c.);
b) con la citazione in giudizio non si può chiedere immediatamente la sospensione della delibera.
Rebus sic stantibus, nel migliore dei casi il condominio poteva sapere se la deliberazione veniva a essere sospesa non prima di quattro-cinque mesi dalla sua adozione.
Se si pensa che in relazione ad alcune delibere è importante agire con celerità, la scelta della citazione quale atto introduttivo del giudizio, lasciata tra le altre cose alla discrezionalità (se non proprio all'arbitrio) del condomino contestatore, può comportare un'intollerabile ritardo nella esecuzione della stessa.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la sospensione della delibera comporta l'impossibilità di eseguire ciò che vi è stabilito. In alcuni casi, si pensi alle ristrutturazioni o altri simili lavori, dare esecuzione ad una decisione che di lì a qualche mese potrebbe essere sospesa, è un rischio che non sempre vale la pena di accollarsi.
È chiaro che l'assemblea può sempre decidere di annullare la decisione contestata o sostituirla con una successiva che accolga i rilievi dall'impugnante ma nel caso d'impossibilità a fare ciò è chiaro che il disagio è acuito.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del n. 8491 del 2011, risolsero il contrasto affermando che la delibera dev'essere impugnata con citazione, ma che se si utilizzava il ricorso, purché depositato nei termini succitati, non v'erano motivi per ritenerlo inammissibile.
Sulla materia, quindi, è tornato il sereno? Si, ma solamente per poco tempo.
A nemmeno due anni da questa pronuncia è entrata in vigore la riforma del condominio.
Nel nuovo testo dell'art. 1137 c.c., modificato dalla legge n. 220/2012, è sparito il riferimento al termine ricorso.
Risultato?
Allo stato attuale iniziano ad essere pronunciate sentenze con le quali vengono ritenute inammissibili le impugnazioni delle delibere presentante con ricorso e non con citazione (cfr. da ultimo Trib. Cremona 23 gennaio 2014 n. 37).
La nuova norma, ad ogni buon conto, ha validità solamente per le cause iniziate dopo il 18 giugno; ciò vuol dire che tutte le impugnazioni presentate con ricorso prima di questa data devono essere considerate pienamente legittime.
Fatti salvi i casi, ben precisi, in cui è necessaria l'unanimità dei consensi, in condominio vige il sistema maggioritario.
In sostanza, a seconda dell'oggetto della deliberazione, sarà necessario raggiungere un determinato quorum per poter deliberare (si pensi, ad esempio, alla nomina dell'amministratore).
Come recita il primo comma dell'art. 1137 c.c.: Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti (artt. 1120 e ss. c.c. n.d.A.) sono obbligatorie per tutti i condomini.
Chi ritiene che la delibera sia invalida può impugnarla (art. 1137, secondo e terzo comma, c.c.). Se si tratta di delibere annullabili, per farlo, dovrà iniziare l'azione attivando una procedura di mediazione entro 30 giorni dalla data della deliberazione, se dissenziente, o della sua comunicazione, se assente. Le deliberazioni nulle, invece, possono essere impugnate in ogni tempo.
La Suprema Corte di Cassazione, con una decisione delle Sezioni Unite datata 7 marzo 2005, ha operato una precisa distinzione tra deliberazioni nulle ed annullabili affermando che sono da ritenersi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all'oggetto; sono, invece, annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto (Cass. SS.UU. 7 marzo 2005 n. 4806).
La legge n. 220 del 2012 (la riforma del condominio) ha sostanzialmente ripreso questa catalogazione (cfr. art. 66, terzo comma, c.c.), lasciandone comunque intatto il valore precettivo nella valutazione dell'invalidità del deliberato.
Per quanto dopo questa sentenza la situazione è molto più chiara rispetto a prima, trattandosi di una decisione, quella relativa alla qualificazione della nullità o annullabilità della delibera, che spetta al giudice, è sempre consigliabile opporsi rispettando il termine dei 30 giorni.
Quali sono, nel caso delle deliberazioni annullabili, le conseguenze di una mancata impugnazione o di una impugnazione tardiva?
In primo luogo si avrà la definitività di quanto deciso dall'assemblea dei condomini. Si pensi al caso in cui l'assise condominiale abbia deliberato dei lavori di straordinaria manutenzione di notevole entità, senza il rispetto delle maggioranze previste dalla legge (maggioranza degli intervenuti all'assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi).
In queste circostanze trattandosi di delibera annullabile in quanto adottata in violazione dei quorum richiesti dalla legge se non vi è stata impugnazione tempestiva, la decisione, in virtù di quanto sancito dall'art. 1137, primo comma, c.c. sarà obbligatoria per tutti i condomini, anche per quelli che erano dissenzienti o assenti al momento della deliberazione.
C'è di più; spesso con le decisioni assembleari si ratifica l'operato dell'amministratore (es. approvazione rendiconto consuntivo che può contenere voci di spesa non preventivate ed ordinate dall'amministratore). In questo caso, la deliberazione vincola definitivamente il condomino e per di più gli sottrae la possibilità di proporre azione di responsabilità contro l'amministratore che si è visto ratificare il proprio operato dall'assemblea (sul punto si veda Cass. 2 ottobre 1992 n. 10838).
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