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27 Maggio 2019 ore 11:34 - NEWS Proprietà |
La casacostruita dai coniugi in regime di comunione dei beni sul terreno di proprietà di uno dei due rientra nella comunione legale ed è dunque di proprietà di entrambi?
La risposta è negativa: la casa costruita sul terreno di uno dei due coniugi che hanno optato per la comunione legale dei beni appartiene solo a colui che è proprietario del terreno.
In tal caso opera infatti l'istituto dell'accessione, disciplinato dall'art. 934 e ss. c.c.
L'altro coniuge potrà avere diritto al pagamento di una somma.
Il principio è stato riaffermato di recente dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 27412/2018 ma anche da molte altre cui accenneremo nel corso dell'articolo.
Vediamo dunque le norme sul regime della comunione legale che qui ci interessano e le norme sull'accessione, a cui hanno fatto riferimento i giudici.
La norma sulla comunione legale di cui nel caso in esame è controversa l'applicazione è quella contenuta nell'art. 177 co.1, lett. a c.c., secondo cui rientrano (tra le altre) nella comunione legale gli acquisti effettuati dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio; salvo che non si tratti beni qualificabili come personali ex art. 179 c.c. tra i quali rientrano i beni di cui, prima del matrimonio, uno dei due coniugi era proprietario o titolare di un diritto reale di godimento (v. art. 179 co.1 lett.a).
In termini giuridici, la domanda quindi è se l'art. 177 co.1, lett. a possa applicarsi anche quando il terreno su cui si costruisce è di uno solo dei due.
Per i giudici, come anticipato, la risposta è negativa: viene applicato infatti l'istituto dell'accessione, modo di acquisto della proprietà previsto dall'art. 934 c.c., secondo cui (per quanto qui interessa):
qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo (v. art. 934 c.c.).
(salvo che il titolo o la legge non disponga diversamente).
A tale norma si aggiungono quelle che cercano di tutelare anche la posizione di chi non è proprietario del terreno, pur avendo in qualche modo contribuito alla costruzione; è così, tra queste, l'art. 936 c.c. ai co.1 e 2 - prevede che nel caso in cui le costruzioni o le opere sono state eseguite da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a toglierle; se il proprietario preferisce di ritenerle, è tenuto a pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore acquisito dal fondo.
Per completezza, aggiungiamo che alla disposizione di cui all'art. 936 (che regole le opere fatte dal terzo con materiali propri) si aggiungono anche quella di cui all'art. 935, che regola la costruzione fatta dal proprietario con materiali altrui, quella di cui all'art. 937, che regola il caso della costruzione fatta dal terzo con materiali altrui e quella di cui all'art. 938, che regola il caso della costruzione fatta dal proprietario superando il confine e finendo nel fondo attiguo.
Tali norme (eccetto l'art. 938 che prevede un caso più particolare) sostanzialmente e per quanto qui interessa, prevedono o la restituzione o il pagamento di una somma di danaro al non proprietario che ha contribuito alla costruzione.
Dunque, il coniuge non proprietario del terreno non sarà proprietario dell'abitazione costruita nel corso del matrimonio in regime di comunione legale, ma, ex art. 936 c.c., viene affermato dai giudici (v. ad es. Tribunale di Latina n. 2336/2018) titolare di un diritto di credito, dunque potrà pretendere il pagamento di una determinata somma.
Spesso, a fondamento della richiesta di pagamento si fa riferimento a un'altra norma, quella contenuta nell'art. 2033 c.c., secondo il quale:
Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda (art. 2033 c.c.).
(v. ad es. Cass. n. 27412/2018).
Ma il diritto di credito da parte dell'altro coniuge sarà senz'altro da riconoscersi?
O invece questi dovrà dare prova di avere contribuito con i propri risparmi alla realizzazione della casa ?
Alla prima domanda è stata data risposta negativa dalle sentenze (v. Cass. n. 5843/2018/, 16670/2013 e n. 20508/2010) che hanno affermato la necessità che sia data prova dell'esborso da parte del coniuge non proprietario del terreno, che cioè la spesa sia stata sostenuta (anche) con suoi beni personali o comuni.
Osserviamo che in altri casi, che appaiono più rari e risalenti, viene invece affermato che gli apporti dell'altro coniuge si presumono resi per legge (Cass. n. 11663/1993).
La giurisprudenza qui richiamata appare utile a rispondere a un quesito - che ha posto un utente di lavorincasa commentando un articolo sulla separazione e casa in comunione dei beni - la quale chiedeva se avesse diritto a una parte della casa finita di costruire dopo il matrimonio, ma acquistata dall'altro coniuge prima di sposarsi.
Immaginiamo che con l'espressione diritto a parte della casa l'utente intendesse chiedere se può vantare di essere comproprietaria dell'immobile.
Da quanto detto, secondo la giurisprudenza qui richiamata, la risposta deve essere negativa.
Rileviamo che presumiamo che il terreno su cui è posta la casa sia di proprietà del marito, non essendo specificato altrimenti; una particolarità poi qui è data dal fatto che quando è avvenuto il matrimonio la casa era stata già stata parzialmente costruita.
La signora, quindi, potrà al più fare quindi riferimento al diritto al riconoscimento di una certa somma, nella quantificazione della quale si dovrà tenere conto del fatto che l'eventuale partecipazione alla spesa è intervenuta a lavori iniziati.
Ricordiamo che, come sempre, la risposta completa circa le domande riguardanti i casi concreti richiede uno studio specifico.
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