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Bolletta luce, bolletta acqua, etc. troppo bassa? Non sempre è un bene.
Per la Corte di Cassazione la presenza di consumi bassi per le utenze è indice del fatto che l'abitazione non è quella principale e ciò comporta l'applicazione dell'imposta sulla plusvalenza.
Il principio ed è stato affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 18963/2019 ma non è una vera e propria novità: nel giudizio che si conclude la sentenza della Corte di Cassazione n. 14270/2016, per quanto la sentenza non sia incentrata sul tema, l'elemento dei consumi bassi è valutato allo stesso modo; non sembra ci siano altri precedenti.
Entrambi i giudizi riguardano l'impugnazione di un avviso di accertamento per l'irrogazione delle imposte date dalla plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile acquistato come casa principale e poi rivenduto.
L'Agenzia delle Entrate, dal canto suo, fa da tempo riferimento ai dati dei consumi onde valutare se effettivamente si è in presenza di un'abitazione principale (v. Ris. n. 218/2008) in assenza di cambio di residenza ai fini dell'applicazione dell'imposta sulla plusvalenza.
Ed infatti, anche nel giudizio di cui all'ordinanza di cui parliamo oggi, la n. 18963/2019, secondo le Entrate, la presenza di consumi molto bassi attesta che quella non è l'abitazione principale del contribuente e dunque che egli non può usufruire dell'agevolazione prevista dalla legge in caso di cessione entro i cinque anni dell'abitazione principale.
Cosa prevedono le norme, in particolare?
A norma degli artt. 67, co.1 lett.b) e 68, D.P.R. n. 917/1986 (il T.U.I.R., cioè il Testo Unico Imposte sui Redditi) il contribuente è tenuto a pagare le imposte sulla plusvalenza nel caso (per quel che qui interessa) in cui ceda a titolo oneroso (quindi che ad es., ma non solo, venda) un'abitazione acquistata o costruita da non più di cinque anni, salvo che si tratti – sempre per quel che qui interessa – di un immobile adibito, per la maggior parte del tempo trascorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione, ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
Quali sono i familiari ammessi all'utilizzo della abitazione ai fini delle norme in parola?
L'elenco è quello contenuto nell'art. 5 ult. co. del TUIR, secondo il quale ai fini delle imposte sui redditi si intendono per familiari: il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.
Dunque, perché si possa fruire dell'esenzione dall'imposta, due devono essere le condizioni: l'una temporale – il bene deve essere stato utilizzato come abitazione principale per un certo periodo di tempo - l'altra, la destinazione ad uso personale (del contribuente o dei suoi familiari) da individuarsi secondo criteri oggettivi (v. Cass. n. 18963/2019 e 14270/2016 e, quanto alla prima condizione, Cass. n. 18846/2003).
Ebbene, la presenza di consumi troppo bassi è ritenuta un indice del fatto che non si tratta di un'abitazione principale; nel giudizio in commento i dati delle utenze sono stati valutati al fine di trarre quelle che tecnicamente si chiamano presunzioni.
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato (v. artt. 2727 e ss. c.c.).
Ci sono quindi le presunzioni legali e quelle semplici: le prime dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali sono stabilite; le seconde, come nel caso de quo, non sono stabilite dalla legge e sono affidate al prudente apprezzamento del giudice: esse devono essere gravi, precise e concordanti.
Il concetto di abitazione principale è diverso da quello di prima casa, anche se in gergo spesso i due termini vengono utilizzati come sinonimi.
Per abitazione principale ai fini delle norme in argomento si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente; la risposta è stata data dall'Agenzia delle Entrate (v. Ris. n. 136E del 2008, che richiama gli artt. 10 e 15 del TUIR) e il concetto è ribadito nelle Istruzioni per la compilazione del modello sulla dichiarazione dei redditi.
Non deve dunque trattarsi necessariamente di un'abitazione dove il contribuente abbia la residenza (v. Ris. 218/2018).
Ed invero, nel caso di specie, il contribuente aveva conservato la residenza a Roma, ma l'abitazione in questione è situata a Milano, suo luogo di lavoro; ebbene, i consumi di Milano erano bassi, nel senso che erano inferiori a quelli di Roma.
Trattavasi di un indice importante, che però non era il solo: ad esso si aggiungeva proprio il fatto che il contribuente aveva mantenuto la residenza a Roma, nonostante lavorasse a Milano.
Infine, osserva ancora la Corte, il contribuente avrebbe potuto, ma non l'ha fatto, offrire una prova contraria (sempre ammessa in relazione alle presunzioni semplici).
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