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La compravendita di beni e oggetti di consumo è sottoposta ad una disciplina differenziata in relazione al luogo in cui si perfeziona l'accordo commerciale.
Nel caso di vendite effettuate a distanza (si pensi alle vendite on-line) o fuori dai locali in cui il commerciante esercita la propria attività (l'esempio classico è quello delle così dette vendite porta a porta), le legge riconosce al consumatore una serie di diritti supplementari rispetto a quelli attribuitigli dalla disciplina ordinaria.
Tra tutti si pensi al diritto a ricevere tutte le informazioni utili per formarsi coscientemente un convincimento sul prodotto oggetto dell'acquisto o ancora al diritto di recesso.
La ratio di quella che è stata definita una tutela rafforzata va rintracciata, fondamentalmente, in due motivi:
a) la cronica posizione di debolezza contrattuale del singolo consumatore rispetto al venditore;
b) l'avventatezza che può caratterizzare certi acquisti fatti in modo inconsueto rispetto al classico acquisto nel negozio e di conseguenza la possibilità di esercitare una sorta di diritto di pentimento relativamente al contratto stipulato.
Chiarito ciò è utile valutare quali siano i diritti che il consumatore può vantare nel caso, decisamente più ricorrente nella prassi quotidiana, di contratto concluso all'interno dei locali commerciali.
Una precisazione: con la locuzione contratti conclusi all'interno dei locali commerciali si vuol far riferimento a quegli accordi definiti presso il domicilio del venditore.
Ciò vuol dire che se, come può capitare, l'esposizione della merce è fatta sulla pubblica via prospiciente al negozio e lì si decide di acquistare un prodotto, il contratto dovrà ritenersi concluso all'interno del locale commerciale.
In questo tipo di accordo il diritto di recesso è quello disciplinato dal codice civile.
In sostanza, pertanto, l'esercizio di un simile diritto è rimesso interamente alla libera contrattazione tra le parti (artt. 1372 e ss. c.c.), salvo il caso, di cui si dirà più avanti di clausole vessatorie che limitino nei fatti, un diritto riconosciuto sulla carta.
Non esiste, nell'ordinamento giuridico, una norma che riconosca al consumatore il diritto di poter cambiare la merce, salvi i casi, che si vedranno appresso di merce difettosa ed in garanzia.
Si pensi, l'esempio è classico, all'acquisto di un indumento dalla taglia sbagliata o al pezzo d'arredamento fuori misura o, nel caso di regali, alle cose che non incontrano il gusto di chi le riceve.
In queste circostanze, come per il diritto di recesso, quindi, dovranno essere le parti al momento della vendita a concordare la possibilità e le modalità del così detto cambio merce.
Se il bene acquistato rientra tra quelli indicati dall'art. 128 del Codice del consumo (d.lgs n. 206/05), il consumatore avrà diritto alla riparazione od alla sostituzione per un periodo di due anni dal momento dell'acquisto del bene.
Quella classica è il pagamento tramite contanti.
Tutte le altre modalità (carte di credito, bancomat, assegni, cambiali, ecc.) sono da ritenersi valide solamente se accettati dal commerciante.
Devono considerarsi vessatorie le clausole che, nell'ambito di un rapporto contrattuale consumatore – professionista comportino per il primo un significativo squilibrio tra diritti e doveri.
Si pensi, per citare il caso del recesso, all'ipotesi in cui pur riconoscendosi il diritto di recesso lo si sottopone al pagamento di una penale sproporzionata per quello che è il valore del contratto.
In questi casi, come in altri individuati dagli artt. 33 e ss. dal d.lgs n. 206/05, il consumatore potrà far valere la vessatorietà delle clausole ai fini di un compiuto esercizio dei diritti riconosciutigli.
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